Soglia a 35.000 euro per i redditi da lavoro dipendente e pensione confermata anche per il 2026. In discussione l’innalzamento del tetto dei ricavi a 100.000 euro, con il vincolo delle regole UE sull’IVA.
Il 2026 si apre con un segnale atteso da migliaia di professionisti e piccoli imprenditori che operano in regime forfettario. La Manovra 2026 proroga infatti per tutto l’anno la soglia di compatibilità a 35.000 euro per i redditi da lavoro dipendente e assimilati (comprese le pensioni), scongiurando il rientro al precedente limite di 30.000 euro.

In pratica, chi affianca all’attività autonoma un impiego o un assegno pensionistico potrà cumulare fino a 35.000 euro di tali redditi, senza decadere automaticamente dalla flat tax forfettaria, a condizione che il requisito sia verificato con riferimento all’anno precedente.
La conferma della soglia più alta è stata accolta con favore in particolare da chi ha entrate miste e utilizza il forfettario per la semplicità contabile e l’imposta sostitutiva. La misura riduce il rischio di uscita “tecnica” dal regime per scostamenti marginali e permette di pianificare con maggiore certezza il 2026, soprattutto per i professionisti che alternano periodi di incarichi autonomi e contratti di lavoro.
Resta immutata l’architettura del regime. Possono rientrare nel forfettario i contribuenti che nell’anno precedente non superano 85.000 euro di ricavi o compensi e che non hanno sostenuto più di 20.000 euro lordi in spese per lavoro dipendente e collaboratori. L’imposta sostitutiva è pari al 15%, ridotta al 5% per i primi cinque anni in caso di nuova attività che rispetti le condizioni di legge.
Partite Iva a regime forfettario: cosa cambia grazie alla Manovra 2026
Il calcolo del reddito imponibile avviene applicando al totale incassato il coefficiente di redditività legato al codice ATECO; sul risultato si paga la flat tax. Tra i vantaggi strutturali figurano l’esonero dall’IVA e dall’IRAP, l’assenza di ritenuta d’acconto e l’alleggerimento degli obblighi contabili.

Per l’accesso e la permanenza occorre inoltre considerare con attenzione i redditi da lavoro dipendente e assimilati percepiti nell’anno precedente: superare la soglia fissata (35.000 euro nel 2026) può precludere il regime. Restano in ogni caso escluse le somme soggette a tassazione separata.
Rimangono cause di esclusione: partecipazione in società di persone o associazioni professionali, controllo o partecipazione in società di capitali riconducibili alla propria attività, e la prevalenza di prestazioni rese all’ex datore di lavoro o a soggetti collegati, elemento su cui il Fisco mantiene un’attenzione elevata.
Un esempio numerico aiuta a orientarsi. Un professionista con ricavi annui per 60.000 euro e coefficiente di redditività del 40% determina un imponibile forfettario di 24.000 euro. L’imposta sostitutiva al 15% ammonta a 3.600 euro. Se la persona, nell’anno precedente, ha percepito anche redditi da lavoro dipendente per 32.000 euro, la proroga della soglia a 35.000 euro consente la permanenza nel regime, ferma restando la verifica degli altri requisiti.
Sul fronte dei ricavi si è riaperto il dibattito politico: la Lega annuncia un emendamento alla Manovra per innalzare da 85.000 a 100.000 euro il tetto di accesso e permanenza nel forfettario dal 2026. L’obiettivo è intercettare la crescita di professionisti e microimprese che, con i limiti attuali, rischiano di uscire dal regime proprio nel momento in cui consolidano il giro d’affari.
Tra i benefici attesi vengono indicati una maggiore continuità del percorso professionale e la riduzione degli effetti “a soglia” che penalizzano gli incrementi marginali di fatturato. Il percorso, tuttavia, incontra un vincolo europeo. Le regole dell’Unione prevedono, in via generale, la possibilità per gli Stati membri di applicare regimi semplificati con esenzione dall’IVA fino a una soglia che, per l’Italia, coincide con 85.000 euro, salvo deroghe specifiche e temporanee.





